Bene, una premessa doverosa. Non vorrei che il titolo di questo post mi facesse passare per una drammaturga consumata, perché per diventarlo occorrerebbero due vite. Quello che so della drammaturgia è frutto di un corso specifico semestrale che seguii quindici anni fa, dal quale scaturì un testo che fu scelto dai maestri per essere rappresentato. Ecco. Tutto nacque per caso, per curiosità. Si trattava della direzione artistica del Teatro Testaccio di Roma che ai tempi ottenne un finanziamento dalla Regione Lazio per un laboratorio dal nome "Idee per un nuovo teatro popolare". Io vidi il volantino e mi segnai.
Da lì mi si spalancò dinanzi un mondo. Anzi, diciamo pure che quel corso cambiò la mia vita.
Le lezioni erano divise fra teoria e pratica. Prima quindi occorreva farsi un'idea su cosa fosse la scrittura per il teatro, solo dopo potevi buttare giù qualcosa.
Oggi, dopo tanta tanta scrittura e pratica teatrale, se dovessi inventarmi un laboratorio di drammaturgia metterei insieme poche ed essenziali idee. Le sole possibili per scrivere un copione teatrale. Beh, diciamo pure che io cominciai nello specifico da come si scrive una commedia brillante, cosa che guidò i miei primi passi nel mondo del teatro. Lascio quindi da parte tutto ciò che riguarda la documentazione, indispensabile per affrontare una scrittura di genere storico, per fare un esempio. Su questo ha risposto già Cristina, valgono tutti i principi da lei tanto bene enucleati.
Andiamo alle basi. Vi accorgerete che in alcuni aspetti la scrittura drammaturgica assomiglia non poco a quella narrativa.
Per scrivere un copione teatrale bisogna partire da un'idea. Perché questo copione sia buono, anzitutto
l'idea deve essere buona. L'idea, che è centrale in tutto il racconto, non deve imbrigliare l'autore, anzi questi si deve muovere all'interno della scrittura tenendola costantemente presente, ma dandole corpo mediante tutti i maggiori artifici della drammaturgia.
Eduardo De Filippo (1900 - 1984), uno dei maggiori drammaturghi del '900 |
Si sa, il teatro è rappresentazione della vita. Non è finzione, tutt'altro. E' ciò che i greci chiamavano mimesis biou, null'altro che imitazione. In questa imitazione della vita, il drammaturgo non deve ricorrere ad artifici impossibili, piuttosto devono essere verosimili. La ragione è presto svelata: lo spettatore è un tutt'uno con lo spettacolo, giacché non esiste rappresentazione senza un pubblico, pertanto il potere di identificazione nella scena deve essere agevole, fluido.
Lo spettatore è l'obiettivo della scrittura drammaturgica, quindi nel momento in cui scrivo devo presagire le sue sensazioni, entrare in lui, essere in qualche modo veggente.
Perché tutto questo sia possibile, va da sé che il drammaturgo deve essere un buon osservatore dell'umanità, essere curioso, guardarsi attorno, amare la gente sotto diversi aspetti, andare al di là delle apparenze, essere introspettivo. Il drammaturgo in tal senso è un po' psicologo. Se fa incontrare due persone in palcoscenico che si salutano, deve raccontare con quale animo l'uno e l'altro lo fa, magari può già mostrarlo semplicemente da come l'uno è vestito rispetto all'altro.
Può accadere che i personaggi si svelino al drammaturgo mentre questo scrive. E' una delle cose più belle che possano capitare mentre sei immerso in questo tipo di scrittura.
Può capitare di avere una scaletta, delle intenzioni iniziali. Poi c'è come un punto di rottura, qualcosa che non avevi previsto. Scrivi una battuta e ti immergi nell'altro personaggio, quello che la riceve, e scrivi esattamente quello che sarebbe la tua reazione o una reazione più verosimile di quella che avevi pensato prima. E funziona, è più efficace.
Da "soggetto immateriale", ciascun personaggio diventa vivo solo se compi questa imitazione.
Strano a dirsi, nessuna scrittura drammaturgica racconta dei personaggi. In realtà quei personaggi raccontano una storia, quell'idea iniziale, sono costantemente a suo servizio assieme a paesaggio e ambiente.
Bene, per adesso mi fermo qui. La prossima volta andremo "dentro" la scrittura, magari con un confronto fra diversi testi drammaturgici.