Se William Shakespeare potesse parlare...



Il 2016 è stato l'anno shakespeareano, ricorrendo il 400enario della morte del più grande drammaturgo di tutti i tempi, esattamente il 23 aprile. A quattro secoli dalla sua morte, William Shakespeare è l'autore più tradotto e rappresentato al mondo, ciò è già di per sé un elemento che fa pensare e incuriosire non poco. Possibile che i temi, i contenuti, gli intrecci sapientemente intessuti dal Bardo diversi secoli fa si prestino ancora a essere attuali, anzi i prediletti dei tanti teatranti - siano essi produttori, registi, commediografi, attori - che hanno adattato, riscritto, reinventato quelle trame, riempiendo le platee? Ebbene sì, un fenomeno assoluto, mai in crisi, che attraversa le epoche, la storia, gli inciampi e i trionfi dell'umanità per arrivare fino a noi, prediletto da innumerevoli palcoscenici in tutto il mondo.
Autore di 19 commedie, 10 tragedie, 11 drammi storici, 154 sonetti, Shakespeare è stato un prolifico scrittore nel quale quantità e qualità collimano indissolubili. Se l'arte e la letteratura possono vantare i loro geni, il teatro e la drammaturgia non sono da meno. Shakespeare per diversi aspetti è un autore ineffabile, vanta una grande conoscenza dell'animo umano, si muove disinvoltamente fra vicende e caratteri, riservandosi di inventare grandi personaggi o raccontare a suo modo le celebri personalità della storia.
Grande significato rivestono le opere in cui si concede di entrare fra le corti, dove la sovranità cede il passo alle debolezze, le miserie e i limiti dell'umana natura. E poi l'amore, che diventa un ambito che il Bardo scandaglia insinuandosi fra le pieghe degli uomini, regalando pagine indimenticabili e affascinanti. Fino ad arrivare agli scherzi dialettici di opere in cui saccheggia dall'antichità classica per reinventarla e riproporla sotto le forme non meno coinvolgenti dell'epoca in cui vive, quella nota come "età elisabettiana", fervida di intelletto e creatività. 
Potrei mai non improvvisare un monologo, io che pure di teatro mi nutro, e far parlare questo immenso uomo di Lettere? Ebbene, lasciamo che si presenti da solo. 

William Shakespeare: Comincerò col dire di me stesso che sono sensibile al giudizio altrui. Non è forse tipico di chi si mette in gioco senza risparmio né volontà di creare illusorie parvenze e di chi trova in questo gioco perpetuo il proprio elemento? 
Mi hanno definito un "genio drammatico", poiché avrei rivelato con le mie opere eterne l'intima costituzione teatrale dell'identità umana, io stesso non potrei raccontare il mio mistero, rischiando di svelarlo. Se sono stato o meno un genio, non so dire. So invece che il mio gusto nell'osservare la gente, e raccontarla, è stato tutta la mia vita. Virginia Woolf, eminenza d'intelletto fra le donne, che non avrò mai modo di conoscere, scriverebbe che l'opera mia è da tenersi sul comodino, proprio come la Bibbia. Nel mio tempo mi accolgono con esultanza, mi ritengono uomo dal gusto e l'estro buoni, e se guardo di là dal tempo, vedo che qualcuno avrà la bontà di inserirmi in un "canone occidentale", come pilastro della Letteratura non solo drammaturgica. Una grande responsabilità. Immagino l'uomo comune, mentre si abbevera nella mia fiumana di parole, e sente che gli si scolpiscono nell'anima come dei ghirigori in forma di stella. 

Nelle brume di questi sobborghi raramente cerco spiragli di sole. Mi è congeniale questa grigia nebbia di Londra, invita i pensieri a banchettare fra i vizi e le virtù umane. Trascorro la maggior parte del mio tempo in teatro, fra la polvere e l'odore di umido che impregna le assi di legno, in questo castello con la bocca spalancata al cielo, echeggiante del tumulto della folla quando i miei drammi sono in scena.
Canto la vita, e della vita tutto, mi spingo fino ai limiti estremi dell'uomo, vago fra le sue ombre e le luci della sua bontà, guardo alla malvagità che il fervido parto delle ambizioni genera. Canto l'amore. Dopo quattro secoli le mie parole sono ancora pronunciate, tradotte, memorizzate, lette, recitate. Si domandano come possa descrivere, narrare, teorizzare, discettare con larga generosità sull'amore. Non ho segreti. Vivo pienamente il mio tempo, osservando e imparando a descrivere ogni umore e slancio che incrocino i miei passi. Io stesso ho sperimentato l'amore più profondo, e con esso il dolore e la gioia. Non v'è motore più potente. Non v'è forza più trainante e ossessiva, indomita e implacabile. L'amore plasma, scioglie ogni resistenza, persuade e travolge, rende arditi e fieri, induce al coraggio e alla follia. Io credo in esso come in una potente divinità. 
Chi ne subisce la forza, può ben dire di sentire la sferza della sua frusta, e se egli è intelligente abbastanza non resta che abbandonarsi, lasciare che sangue vivo sgorghi dal solco delle sue ferite, poiché nessun balsamo può darvi requie. Si impara che il dolore può possederci e che non è che uno dei volti dell'amore stesso. Guai a maledire ciò che è stato, poiché anche un solo attimo di comunione assoluta ne rende sacra l'esperienza. Non maledite Cupido, poiché questo fanciullo incancrenisce nelle ferite più profonde rendendole inguaribili. Lasciate che sia obliato, che il tempo ne attenui i contorni e non diventi che un filo impigliato di una trama più ampia.

 

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