Fine di un anno di teatro, cominciato dal settembre scorso con la fondazione della mia associazione Carpe diem. Teatro e altre arti e culminato con un successo per certi aspetti inatteso: la messa in scena di Peter Pan.
Non avevo dubbi che lo spettacolo del laboratorio ragazzi sarebbe stato questo, per quella serie di positive convergenze che al momento ho a disposizione, prima fra tutte l'attore giusto per interpretare il protagonista, Francesco Gheghi, conosciuto anche per aver preso parte al cast dell'ultimo film con Marco Giallini ed Elio Germano, Io sono tempesta (qui).
Francesco è un camaleonte, un "animale da palcoscenico", ha il sacro fuoco della recitazione nelle vene. Ci adoriamo reciprocamente e lo dimostriamo palesemente, ci abbracciamo, ci scontriamo, ci confrontiamo.
Lui ha 16 anni, è un giovane virgulto, un diamante grezzo, ha un carattere solare e vulcanico. Ha il senso della battuta, è anche un comico nato. Gioca con le parole, imita bonariamente sua madre newyorkese, si destreggia fra provini, cinema, partecipazione a programmi televisivi (è stato il bravissimo Gigi nella fiction "Il ragazzo venuto dal futuro" nel programma tv Stasera casa Mika).
Bene, il Peter Pan perfetto porta automaticamente ad affrontare questa corazzata, che si è dimostrata tale in corso d'opera. L'ultimo mese ci ha portati a tre prove settimanali, una maratona in cui famiglie e allievi si sono destreggiati fra impegni e ultime interrogazioni a scuola, non ultimo l'esame di stato di due del gruppo.
Se lo spettatore coglie il percorso dalla cura dei dettagli da quando il sipario si apre, non sa il travaglio che c'è dietro a uno spettacolo teatrale. È giusto così, molta parte della macchina teatrale deve restare occulta, misteriosa, inafferrabile.
La messa in scena di Peter Pan è difficile perché è un lavoro corale, che se vuoi rendere bene, devi coordinare da regista passo a passo, come se ci fosse dinanzi una coreografia.
Da maestro di laboratorio, ci si trasforma in regista tiranno, perché loro sanno che mi trasformo, urlo e impreco. Vecchi e nuovi allievi si prestano al gioco. Sanno di trovarsi dinanzi a qualcuno molto esigente, che non sta lì ad applaudire a ogni parola, anzi.
Non ho mai creduto a una pratica del teatro in cui ci si debba porre da indulgenti e bonari nei riguardi dei ragazzi. Se nella fase laboratoriale lavori bene, sai dove possa arrivare ciascuno di loro, per questo li spingi sempre avanti senza accontentarti. In una prima fase sono spiazzati, poi da intelligenti e appassionati quali sono, capiscono il meccanismo e avanzano passo a passo assieme a te, incassando il colpo, affidandosi totalmente, spingendosi oltre un presunto limite assieme a te.
Se Peter Pan è stato lo spettacolo spiazzante che è stato, è perché c'è solo un modo per produrre un ottimo spettacolo. Che non deve essere un "saggio di fine anno" ma uno spettacolo teatrale.
Peter Pan è il bilancio di un anno fra laboratorio e ultimi mesi di prove, in cui divento consapevole che il laboratorio ragazzi è il nerbo del mio fare teatro. Educare i ragazzi alla pratica teatrale, farlo a determinati livelli ("la tua asticella si sposta sempre più in alto, siete sconvolgenti"), è una sfida assolutamente difficile e allo stesso tempo travolgente. Una missione.
Tutto ciò non sarebbe possibile senza una sinergia di più elementi: i ragazzi, che offrono spunti e sono il "carburante" per le mie energie, le famiglie, che sostengono strenuamente ogni nostro passo, le figure di supporto, che incoraggiano e rendono possibile il tutto assieme ai due elementi precedenti.
Dopo il successo di Finding Anne Frank, questo nostro Peter Pan è il culmine di un anno estenuante e ricco di esperienze.
Ringrazio chi c'è stato e c'è anche in senso molto lato, chi resta, consolida, dà una mano, perché da
questi momenti si comprende chi ti è accanto veramente, e in ciò ho fatto belle scoperte, che gettano nuove basi per il futuro.
La squadra che si sta concretizzando è una grande squadra di meravigliosi esseri umani, che ti invitano a pensare nuovi progetti, perché il teatro chiama.
Le fotografie sono del mio amico Alessandro Borgogno.