Prima strega
Quando ci incontreremo ancora, noi tre?
Nel tuono, tra i lampi, o nella pioggia?
Seconda strega
Quando il ribollio sarà finito,
quando la battaglia sarà perduta e vinta.
Terza strega
Ciò sarà prima che tramonti il sole.
Nell'anno shakespeareano, in cui ricorrono i 400 anni dalla morte del Bardo, torna il desiderio di leggere e rileggere le opere di Shakespeare, al quale dedicherò un post a sé. Volentieri ho riletto questa superba tragedia, forse meno amata rispetto alle altre, ma innegabilmente magnifica.
Composta fra il 1605 e il 1608, Macbeth è una delle tante prove di Shakespeare dinanzi alla natura umana delle teste coronate, e anche qui il drammaturgo non esita a mostrare cosa può esservi dietro i gingilli di scettri e corone, quanto sangue sia necessario versare per il potere, quanto doppia può essere l'anima che punta inesorabilmente verso l'ottenimento di un obiettivo che nulla ha di etico. I personaggi sono tutti, nessuno escluso, grandissimi in ogni loro aspetto, ciascuno a servizio di questa storia nella quale possiamo immaginare una sorta di spirale verso il basso. E' così che visualizzo il Macbeth: un gorgo che ha una base ampia e si restringe in una specie di budello, cerchi concentrici che mi riportano agli Inferi narrati da Dante. Se Macbeth ha visto la stessa forma, probabilmente la immaginava rovesciata, non sa che ogni sua azione lo sprofonda verso l'abisso.
Nella mia rilettura ho evidenziato alcuni passaggi per me essenziali per comprendere il senso più profondo di questa tragedia anzitutto umana. C'è come una sorta di doppio in tutto il racconto, perfettamente annunciato dalle tre streghe all'inizio: "Bello è il brutto e brutto è il bello" - "... quando la battaglia sarà perduta e vinta". La mia interpretazione è che ciò che si appresta a narrare Shakespeare non è che il rifarsi della storia di tutti i tempi, e che chi scrive non farà altro che mostrare la parte opposta di quelle azioni, le aberrazioni cui portano i diversi personaggi.
Judi Dench e Ian McKellen in Macbeth |
Banquo dice: "...spesso, per indurci al male, gli strumenti della Notte ci dicono qualche verità, ci seducono con oneste inezie, per tradirci nelle cose più gravi". Sì, perché in fondo il deus ex machina di tutta l'azione parrebbe essere la tentazione che arriva da fuori, rivelata dalle tre orribili visioni, quasi a creare un'attenuante per le azioni compiute dagli uomini. Ma ciò è solo apparente. Se Macbeth e la Lady sono ispirati da una voce esterna, il resto verrà da sé e non possiamo additare loro come unici responsabili.
C'è da dire che Macbeth è come invasato e allo stesso tempo orripilato dal suo intendimento. Vuole fortemente mettere in atto il suo proposito, ma allo stesso tempo sente tutta la forza di quel senso di colpa che inevitabilmente lo divora. "Le paure reali sono meno tremende di quelle immaginate. Il mio pensiero, il cui assassinio è ancora soltanto fantastico, scuote in tal modo la mia struttura umana che ogni attività è soffocata dall'immaginazione e nulla è, per me, tranne ciò che non è". Eppure il suo volto cela perfettamente il suo proposito. Duncan, a poche ore dalla sua orribile morte per ordine di Macbeth dirà: "Non c'è arte che insegni a scoprire nel volto la costruzione della mente".
Veniamo all'indimenticabile e famigerata Lady Macbeth. Figura immensamente potente e allo stesso tempo incommensurabilmente fragile in quel senso di colpa che la consuma fino alla morte. La Lady rafforza la profezia delle Streghe, spinge il suo sposo verso l'ordine di uccidere, distrugge ogni ultima traccia di dubbio in lui. Entrambi accecati dall'ambizione, lei è lì per spegnere in Macbeth l'ultima traccia di quella coscienza che lo fa tentennare ancora un poco prima del delitto: "...temo tuttavia la tua natura: è troppo piena del latte dell'umana bontà per prendere la via più breve". E di lì a poco, nella volontà di coprire un'ultima distanza dall'uccisione di Duncan, la Lady invoca le forze del Male in uno dei più grandiosi monologhi di tutto il repertorio di Shakespeare:
Venite, spiriti, che presiedete a pensieri di morte, snaturate in me il sesso,
e riempitemi tutta, dal capo ai piedi, della più crudele ferocia.
Rendete denso il mio sangue, fermate l'accesso e il varco alla compassione,
affinché nessuna compunta visita dei sentimenti naturali scuota il mio tristo proposito
o ponga tregua tra questo e l'esecuzione. Venite alle mie mammelle di donna,
e mutate il mio latte in fiele, voi, ministri dell'assassinio, dovunque nelle vostre
sostante invisibili, attendete ai misfatti della Natura.
Vieni, densa Notte, e avvolgiti nel mio oscuro fumo d'Inferno,
affinché il mio coltello acuminato non veda la ferita che apre,
né il cielo si affacci attraverso la coltre del buio, per gridare 'Ferma, ferma!'
(Ho un ricordo molto forte di questo monologo, che recitai durante una Masterclass sulle donne nel teatro di Shakespeare qualche anno fa. Lì senti realmente la forza di queste parole, senti il tuo perderti in questo potente personaggio.)
Macbeth fa uccidere Duncan e poi uno ad uno tutti coloro che reputa ostacoli suo suo cammino verso la gloria. Annienta e tradisce, distrugge e accresce l'orrore passo a passo. Non c'è onore che tenga, non c'è amicizia che possa indurlo a cambiare i suoi piani.
Re Duncan, l'amico Banquo, la moglie e i figli di Macduff sono travolti dall'odio omicida di Macbeth, che tenta disperatamente di fare avverare la profezia eliminando ogni impedimento, compreso il suo epilogo, che una foresta si muova verso il castello di Dunsinane, atto nel quale esse profetizzano la sua fine. Macbeth ingenuamente coglie in questa espressione l'impossibilità che egli venga sconfitto, ma il destino già scritto vuole che i ribelli si scaglino sul castello proprio vestiti dei rami del bosco di Birnam. Il terribile sovrano viene ucciso e decapitato da Macduff, in una fine orribile quanto quella che il protagonista aveva riservato alle vittime della sua follia.
E la Lady? La sua morte vince sul tempo quella del consorte. Lady Macbeth muore non uccisa da mano nemica, ma soffocata nella sua stessa follia. Quegli spiriti che ha evocato la prosciugano totalmente, i delitti che ha ordito ne distruggono ogni fibra. Il medico non ha un farmaco per lei: "In tali casi il paziente deve somministrare a se stesso". Si sveglia di notte in preda a incubi, le macchie di sangue sulle mani non sono che il parto della sua fantasia ormai preda di una febbre che non si può spegnere. La Lady così muore di se stessa, e credo che Shakespeare abbia voluto creare una mirabile rappresentazione del senso di colpa, forse a riscattare questa immagine di donna diabolica e di astuta malvagità.
Macbeth dinanzi alla sua morte, esprimerà il suo magnifico giudizio:
La vita non è che un'ombra che cammina,
un povero attore che si pavoneggia e si agita per la sua ora sulla scena
e del quale poi non si ode più nulla.
E' una storia raccontata da un idiota, piena di rumore e furore,
che non significa nulla.