Essere Frida Kahlo - Produzione 2015



Da novembre 2015 - 
Settimane frenetiche le mie, in questo novembre di teatro. Sono in scena con "Frida de mi alma", il racconto di vita di una delle straordinarie testimoni dell'arte del Novecento: la messicana Frida Kahlo. Un progetto che è stato definito 'coraggioso' perché difficile e sul quale non si potevano fare previsioni circa il gradimento del pubblico. Si sa, il pubblico di nicchia avrebbe potuto amarlo a prescindere, coglie all'istante l'aspetto interessante di un racconto simile, mentre il pubblico delle grandi cifre in genere "preferisce ridere" e in questa storia non si ride affatto, anzi.
Ho già scritto in altri articoli quanto mi attragga il teatro non scontato, facile, quanto piuttosto quello estemporaneo, inedito, di sperimentazione, e come mi piace dire "poetico". Un teatro essenziale, che non ha bisogno di orpelli, ridondanti scenografie, troppi attori, frenetici effetti. La mia Frida è così, poetica e fragile, ingenua e poi inflessibile, e si muove nel suo mondo d'arte e passioni con lo slancio di chi ama la vita e vuole aggrapparvisi nonostante tutto. I primi tre spettacoli di novembre sono stati un successo. Magari non un successo con grandi numeri e file al botteghino, un successo a modo mio, di quelli che fanno arrivare persone che non vedevi da anni, attratte dal nome "Frida", incuriosite dalle infinite possibilità che sanno posso suscitare in un racconto così complesso.
Così come persone amanti di questa artista, ingolosite da una sua rappresentazione in palcoscenico. Così come tante famiglie di alunni di un tempo e attuali, che mi seguono da anni in questi miei percorsi creativi.
Ho letto febbrilmente le più note edizioni italiane che la riguardano. Lettere, studi specifici, critica d'arte. Mi è piaciuto il monologo di Pino Cacucci, creato per il palcoscenico, con una Frida in solitaria, ma non potevo "accontentarmi" di rifare il lavoro di qualcuno. Così ho realizzato un mio copione, che include ulteriori ruoli: quello di Diego Rivera, il celebre muralista suo marito, Lupe Marìn, la prima moglie di lui che di Frida diventa amica, Leon Trockij, il rivoluzionario russo che in Messico si rifugia in fuga da Stalin e che vi troverà la morte, Tina Modotti, la grande fotografa italiana affascinata dal Messico e sua grande testimone, e infine la Pelona, la Morte nella tradizione messicana, una sorta di alter ego di Frida, che intreccia con la protagonista un dialogo perpetuo, un confronto dialettico sofferto, tragico, surreale, a tratti anche umoristico. Questo il mio lavoro, definito "originale e imperdibile" da tanti che lo hanno visto. Tutto è perfettibile, ma il lavoro finora svolto è buono. Occorre restituire il senso di questa storia. 
Da interprete, posso dire che rendere un personaggio simile è difficile e richiede una buona dose di immedesimazione. Il rischio è la non credibilità, ciò che teme chi ritiene il teatro una pratica che esige rispetto e il massimo rigore possibile. Sperimento, provo, smonto, adatto, calco territori inesplorati. La bellezza sta tutta quando questi si rivelano in tutta la loro possanza dinanzi al pubblico, testimone esigente e inflessibile. 
Esiste arte più ardua di quella drammatica? Sono portata a pensare di no, perché se anche c'è un copione a sostenere l'attore in scena, questo si realizza solo sul palcoscenico e dinanzi a un pubblico che assiste, che diventa parte attiva con la propria "presenza emotiva", che restituisce agli attori, i quali se ne nutrono e la traducono in forme emotive ed emozionali ulteriori. Non è la coreografia alla quale si assiste plaudendo alle agilità fisiche del danzatore né la musica suscitata da orchestre sinfoniche in tutta la sua perfezione da partiture. L'arte drammatica è espressione pura e nuda di sé. L'uomo, con la sua faccia, la parola, la tecnica della voce, che suscita il senso del racconto con questa e null'altro. Col suono che vibra nelle sue corde vocali e che diventa narrazione. No, nulla è come l'arte drammatica. 
Fra pochi giorni saremo a Roma, in un piccolo teatro non blasonato, così come deve essere quando non ti interessano i grandi palcoscenici coi quali pensi di poter rendere il tuo lavoro migliore, o più attraente, forse. Orpelli, tanti, che non mi riguardano. 
Meglio incoraggiare le piccole realtà, dignitose e in crescita, nelle quali ferve la voglia di fare e raggiungere l'essenziale. Il teatro ha bisogno di spazi essenziali, palpitanti di umanità. Il teatro vero rifugge dalla patina di belletto che tanti si affannano ad accrescere, con atteggiamenti tutt'altro che umili e costruttivi. L'ho imparato con l'esperienza di 10 anni di produzioni, e questo decennale si riempie di significato anche alla luce di questa intuizione, in me sempre più evidente. Frida dunque canta il suo inno alla vita e alla morte secondo questi canoni e ciò al momento è il mio orgoglio più grande. Non so quale percorso seguirà la mia Frida. Penso di smontare questo spettacolo in seguito, per farne un racconto a tre. Mi piacerebbe diventasse sempre più una narrazione per piccoli angoli di mondo, dove si siede solo chi vuole realmente ascoltare, e il contatto col pubblico è quasi "epidermico". Questo è per me essere Frida Kahlo. 

 

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