Virginia Woolf in palcoscenico - Produzione 2014

Si può scoprire una donna come Virginia Woolf anche in età matura, regalandoti il gusto di un lento svelamento. Perchè Virginia si svela lentamente come una grandissima donna: intelligente, estremamente sensibile e profonda, un mix che splendidamente si concentra in tutto ciò che ha vissuto e scritto. Interpretarla in una pièce teatrale può sembrare azzardato, e difatti un'operazione simile richiede coraggio e fiducia nelle proprie possibilità. Per poterla portare in scena, lo studio è stato complesso. Mi sono anzitutto regalata l'interessante biografia di Nadia Fusini, la massima conoscitrice della Woolf in Italia. Che mirabile viaggio ho compiuto. Ho visto le sue fotografie, letto diversi suoi scritti, le ho guardato gli occhi degli anni felici. Virginia non è la donna cupa e triste che tanti hanno descritto. E' (perchè resterà sempre) una donna straordinariamente vivace e appassionata e amante della vita - quale immensa contraddizione in quella morte cercata e ottenuta! Mi sono commossa dinanzi alle foto delle sue feste in casa, a quella gioventù gaudente che ha alimentato con la sua ospitale cordialità e l'intento di creare cattedrali di pensiero.
E' evidente che per ogni scrittore esista un "progetto" narrativo prima di scrivere. Ma pochi sono istintivi in questo, e preferiscono la rassicurante scaletta lungo la quale costruiscono il tessuto narrativo. Virginia è immediata, procede per lampi di intuizione e pertanto la sua scrittura è come "ondeggiante" fra l'adesso e i pensieri. Straordinaria! Ma allo stesso tempo forte, vagamente androgina, cerebrale, direi unica.
Se potesse parlare, cosa racconterebbe Virginia? Lasciamole la parola.
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Quanto potrei narrare della mia vita, finita tragicamente per mia scelta.
Se guardo indietro, vedo una bambina, che si immaginava imprigionata in un acino d'uva, forse memore di quel calore fluido che solo nel liquido amniotico si prova. Non ne abbiamo memoria o forse possiamo ricordarne la sensazione di avvolgente abbraccio? Dal mio acino d'uva vedevo il mondo esterno, distorto come in una concava visione. Poi ricordo una casa, St. Ives, dove trascorsi gran parte dell'infanzia. Una grande scala, la passiflora argentea che si arrampica sulla facciata della casa, mia madre, la mia amata madre che al mattino, capelli sciolti e trine bianche, respira l'aria tersa. Ricordo la nascita dei miei fratelli minori, così come la mano di mia sorella maggiore, che sorveglia ogni mio passo. Forse vissi più lei che la mia stessa madre.
Julia, la donna che mi ha dato i natali, era una vedova che trovò in mio padre l'uomo che avrebbe potuto donarle un po' di serenità. Vidi sempre in lei ciò che non volevo diventare, malgrado l'amore che provassi. Volevo essere come i miei fratelli, liberi e volitivi, ma in compenso avevo l'amore di mio padre, che riuscivo a corteggiare come una innocua civettuola...Qui sono assieme a mia sorella, Vanessa Bell Stephens. Io sono a sinistra della foto.

Quando morì mia madre, avevo appena 13 anni. 
I miei ricordi si mescolano a sogni strani che feci all'epoca, quindi non saprei dire se sia realmente accaduto che entrassi in una stanza dove c'era la salma e baciassi la sua fronte fredda.
La morte di mia madre cambiò le nostre vite. Mio padre non fu più lo stesso, vendette la bella dimora estiva di Talland House, e si chiuse in un cupo atteggiamento, che lo portò a volte a essere freddo e distaccato con noi tutti. Mia sorella maggiore sostituì mia madre nell'amministrazione domestica, e credo che molto perse in questo, in anni d'adolescenza in cui tutto doveva invece essere luminoso e folle. I miei fratellastri divennero ingombranti e uno di essi cominciò d'abitudine a scendere nei nostri appartamenti e venire da me, nella mia stanza, ad abusare di una piccola ragazza che mai denunciò questo fatto. Non saprò mai quanto mi segnarono quelle oscure carezze, ma credo di non esserne stata immune nel mio percorso di vita...
Queste siamo io e le mie due sorelle, Vanessa e Stella.


E veniamo all'uomo che ho sposato, il buon Leonard.
Come era usanza per molti giovani inglesi, andò a soggiornare a Ceylon per diversi anni. Lo avevo conosciuto poco prima che partisse, c'eravamo incontrati proprio nel mio salotto letterario e rivoluzionario a Bloomsbury. La sua partenza non mi aveva addolorata. Io ero presa da Clive, che ho detto avrebbe sposato mia sorella, dalle mie carte, gli studi, le amicizie che mi hanno seguita fino alla fine. Leonard era stata una presenza discreta e fugace a quei tempi. Quando tornò, si lego profondamente al gruppo, si sentì parte del nostro progetto culturale e sociale. Dovete considerare che il fervore intellettuale di Bloomsbury era qualcosa di straordinario e vitale. In campi diversi, chi nella propria esistenza, chi nella propria disciplina, chi nell'arte, chi nella scienza, noi liquidavamo il passato, trasformavamo il presente, anticipavamo il futuro.
Il ritorno di Leonard in Inghilterra segnò profondamente il suo destino, non solo per avermi presa in moglie, ma è bene che faccia un passo indietro e vi dica perchè era partito. Era ebreo, e aveva dovuto rinnegare il suo giudaismo. Aveva dovuto come sottoporsi all'abiura di suo padre, che ne sconfessò perfino l'esistenza, e si era legato profondamente a noi tutti. Leonard aveva dovuto imparare a vivere con altri mezzi, nutrendo un pensiero e un'esistenza del tutto laici. Una volta laureatosi, aveva lasciato Cambridge, a malincuore, ed era partito per Ceylon per guadagnarsi da vivere, non aveva avuto altra scelta.
Mi raccontò che a Ceylon aveva lavorato undici ore al giorno sette giorni su sette. Gli era stato affidato il governo di un intero distretto. Era stato poliziotto, magistrato, giudice, medico, veterinario, esattore, e altro. In un luogo senza strade nè ferrovie, solo, senza alcun altro europeo accanto. Acquisì in quegli anni la sua tenacia, che diventò una piega del suo carattere. C'è da dire anche che sfiorò una certa misantropia e che imparò a detestare la mediocrità.
Quando tornò a Londra, Leonard aveva in sè alcuni aspetti del suo carattere che mi affascinarono e incuriosirono. Mi catturò il suo riflesso paterno, divenne gradualmente per me il padre che avevo perso, o che avevo da sempre desiderato. Non era forse vero che Leonard assomigliava a mio padre per l'ambizione almeno?
Ci incontrammo a Gordon Square, nella stessa casa dove lo avevo conosciuto sette anni prima e restò incantato quando gli tesi la mano (mi avrebbe poi detto che lo aveva affascinato constatare come fossi cambiata, in meglio), restò fermo come se vivesse l'emozione di una bellezza.
Mi disse una frase in francese: L'armonie la plus douce este le son de la voix de celle que l'on aime. Non mi amava ancora, ma si era innamorato dell'idea di amarmi.
E io? In età da marito, come avevo preso quelle attenzioni? Devo confessare che desideravo fortemente sposarmi e che non volevo assolutamente restare zitella. Era una questione di femminilità. Avevo diversi pretendenti, anche illustri, ma nessuno pareva fare al caso mio. Leonard, invece, forse sarebbe potuto andare bene, e lo invitai in campagna.
Ricordo bene quei giorni. Passeggiamo per le colline del Sussex, e parlammo parlammo parlammo. Era diverso dagli altri uomini che conoscevo, tutti più simili ai miei fratelli, tutto o quasi figli di un'aristocrazia intellettuale. Forse perchè era ebreo, forse perchè suo nonno faceva il sarto, Leonard aveva in sè qualcosa che lo rendeva affascinante e diverso insieme.
Quando mi chiese in moglie, pertanto accettai. Mi sarei mescolata con una classe media di professionisti, io, Virginia Stephen, nella quale vibrava un'aristocrazia di lettere tra le migliori del paese. Leonard non mi avrebbe offerto alcun blasone, solo la propria indefessa volontà di lavorare.
Però, attenzione: io non sposai Leonard, tradendo la mia classe sociale, per obbedire ad un'altra. Mi piaceva perchè era un outsider esattamente come me. Lui era duro, inflessibile, esigente, irreprensibile, esattamente come mio padre. Mi accorsi anche di una sua cupezza, perchè non amava ridere nè giocare, attività che noi giovani di Bloomsbury adoravamo.
Fu così che Leonard mi sposò, venne ad abitare all'ultimo piano di Brunswick Square, e cominciò a portarmi il vassoio del pranzo al secondo piano, perchè non dovessi scendere. Io scrivevo in quegli anni La crociera. Eccoci nel giorno del nostro matrimonio.


 

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